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Il processo di investimento TOPIC: STRATEGY
Quali sono le fasi del processo di investimento che un gestore di un portafoglio deve intraprendere?
Per la costruzione di un portafoglio, il gestore deve espletare una serie di passaggi chiave che gli permettono di utilizzare dei criteri anziché scegliere in modo casuale.
Tali criteri possono variare in base alle preferenze del cliente, agli obiettivi del gestore e così via… pertanto le fasi sotto menzionate fungeranno da mera indicazione di un tipico processo di investimento.
Anzitutto, è necessario che il gestore abbia ben chiara la congiuntura macroeconomica di riferimento, sia in possesso dei principi fondamentali della finanza e sia in grado di stabilire gli obiettivi del portafoglio, tenendo in conto i vincoli e le preferenza dell’investitore, formulare una strategia di investimento rivedendo periodicamente la performance e, in ossequio a quest’ultima ed agli obiettivi prefissati, rivedere periodicamente la composizione del portafoglio; infine, il gestore deve essere in grado di intuire i probabili i rischi e deve essere capace di selezionare gli strumenti derivati per effettuare hedging (copertura dai rischi tramite strumenti finanziari derivati).

Prima fase: profilazione del cliente.
Il primo criterio è comprendere chi è il destinatario del portafoglio, pertanto è necessario profilare il cliente basandosi su MIFID: il gestore compie correttamente il processo di investimento mediante una prima fase di procacciamento delle informazioni dal cliente, in tal senso è necessario comprendere la sua conoscenza finanziaria, la sua propensione al rischio (avverso, neutrale o propenso) al fine di prefissare un certo rendimento atteso aggiustato per il rischio. In tal senso, rendimento e rischio vanno “a braccetto”: maggiore è il rendimento, maggiore sarà il rischio; pertanto, la componente interessante è il “rendimento aggiustato per il rischio” che dovrà essere esplicitata al cliente. In sintesi, in qualità di gestore, devo conoscere tutte le caratteristiche del mio cliente come l’età anagrafica, stato familiare, situazione reddituale/patrimoniale, bisogni e preferenze particolari.
Una volta profilato il cliente (potrebbe essere più di uno nel caso di fondi comuni di investimento, in cui si effettua una raccolta pubblica e le considerazioni si estendono ad una cerchia di soggetti più ampia) destinatario del portafoglio, è necessario stabilire gli obiettivi del portafoglio che ruotano intorno a due concetti chiave:
- tolleranza al rischio, esso è importante poiché sarà il punto di riferimento nelle prossime fasi;
- rendimento desiderato che è direttamente dipendente alla tolleranza del rischio.
Definitivi gli obiettivi, il gestore deve tener conto dei vincoli e delle preferenze dell’investitore, pertanto gli obiettivi sono condizionati dai vincoli, cioè dalle preferenze del cliente come ad esempio:
- liquidità; il cliente preferisce avere in portafoglio dei titoli finanziari liquidi (ad esempio strumenti finanziari monetari) per poter far fronte ad adempimenti imminenti e/o improvvisi;
- orizzonte temporale, in base all’età anagrafica del cliente si modifica la composizione del portafoglio; ad esempio, un cliente che ha 70 anni è diverso da uno di 30, in quanto il primo avrà una componente preponderante in titoli a reddito fisso (meno variabile, meno rischioso), mentre il secondo sarà più propenso ad avere una maggiore componente variabile nel portafoglio (più peso nelle azioni rispetto ai titoli a reddito fisso);
- regolamentazione e tassazione; ad esempio, se un investitore dovesse avere molte minusvalenze da recuperare, sarebbe più conveniente investire in azioni poiché l’imposizione fiscale da pagare nei dividendi e dal guadagno in conto capitale sarebbe compensata dai crediti verso l’erario;
- preferenze e circostanze particolari; magari il cliente ha l’obiettivo di investire una somma di denaro per farla fruttare al netto dell’inflazione in modo tale da garantire un sostentamento economico dei figli che potrebbero andare all’università; in tal caso occorrerebbe distinguere il caso fra un figlio appena nato (orizzonte temporale più lungo, necessità di meno strumenti liquidi) ed uno in procinto di diplomarsi (orizzonte temporale molto ristretto, necessità di strumenti finanziari più liquidi).
Seconda fase: formulare una strategia di investimento.
Una volta terminata la fase di profilazione del cliente, il gestore avrà ben chiaro quali sono gli obiettivi che il portafoglio dovrà soddisfare ed entro quali vincoli di preferenza.
In ossequio a tali parametri iniziali, è possibile formulare la strategia di investimento, tale concetto può essere suddiviso operativamente in altre tre fasi:
1. Asset allocation strategica: inteso come ripartizione del portafoglio nelle diverse asset class; per quest’ultime si identificano le seguenti: azionario, obbligazionario, monetario, materie prime, FOREX, real estate ed “alternatives” (in cui sono presenti gli investimenti in Private Equity). In questa prima tassonomia delle tipologie di attività non si sono inclusi:
a. Derivati: poiché in base al sottostante dello strumento finanziario derivato, la sua natura cambia; ad esempio un contratto a termine (forward o futures) sul petrolio rientra nell’asset class materie prime; ancora, un contratto di opzione “call” sulle azioni Apple rientra nell’asset class delle azioni e così via…;
b. Indici: poiché in base alla struttura dell’indice può variare l’asset class di riferimento; ad esempio l’indice S&P500 è un indice azionario, mentre un indice obbligazionario potrebbe esser il GBI di Jp Morgan e così via…;
c. ETF (Exchange Traded Fund): sono degli indici costruiti passivamente (o attivamente nel caso degli ETF smart beta) mediante l’acquisto di titoli secondo un peso determinato (può essere fisso o variabile).
Quindi l’asset allocation strategica consiste nel suddividere una torta in diverse fette in base alla tipologia di asset class selezionata; la grandezza della fetta (cioè la % di peso attribuita a quella asset class/strumento finanziario) può seguire un criterio fisso (il 20% del portafoglio in azioni ed in base alle variazioni dei prezzi, mantengo sempre la medesima percentuale) o variabile (il 20% del portafoglio iniziale in azioni ed, in seguito alla variazione dei prezzi, il peso si adatta al nuovo valore; esempio: acquisto il 20% in azioni Apple, in seguito alla giornata odierna il prezzo di Apple cala, il nuovo peso del portafoglio sarà del 19%; qualora fosse fisso, nella medesima fattispecie, avrei dovuto acquistare una nuova % di azioni Apple per mantenere il peso del 20%).
Inoltre, è possibile fare una asset allocation di secondo livello diversificando il portafoglio non solo in funzione dell’asset class, ma altresì in base all’area geografica, ad esempio: acquisto sia azioni di Apple, sia azioni di Siemens per diversificare il mio portafoglio in termini di valute (il primo strumento finanziario denominato in USD mentre il secondo in EUR). Questo implica che il mio portafoglio sarà soggetto ad un rischio valutario, oltre a quello tipico di impresa (acquisto in equity).
2. Asset allocation tattica: significa modificare l’asset allocation strategica in base al c.d. “momentum” e/o indicatori fondamentali, ad esempio: in ossequio ai report dell’equity research si individua un settore sottovalutato con ottime potenzialità di crescita nel futuro; in quel caso posso incrementare il peso già individuato dall’asset allocation strategica per poter sfruttare a mio vantaggio una situazione di “underpricing” del settore potenzialmente in crescita; inoltre, in base all’indicatore tecnico del “momentum” in senso positivo, vi è un segnale rialzista, pertanto sarà necessario acquisire una posizione lunga (acquistare titoli) o consolidare la posizione già esistente in portafoglio. Quindi, si può intuire che questa fase implica una gestione attiva nel breve termine e che può mutare in base ai nuovi trend di mercato, alla congiuntura economica, alla struttura del prezzo del titolo finanziario analizzato e così via…. In sintesi, non basta conoscere il titolo, ma altresì è fondamentale il c.d. “timing”, cioè conoscere il momento giusto per entrare in una determinata posizione.
3. Security selection: in tale fase si selezionano i titoli finanziari oggetto delle analisi sopramenzionate; il risultato di tale fase mi dirà quali fra il titolo di partecipazione di Apple e di Microsoft sarà più conveniente acquistare/vendere per mantenere una certa strategia Value del portafoglio. Ancora, qualora volessi intraprendere una strategia di investimento equity Growth, la security selection mi permetterà di discriminare tra tutti i titoli azionari quale società quotata possa essere considerata “Growth” (basso P/E, alto dividend yield), tramite una valutazione fondamentale della società (metodo DCF e dei multipli di mercato).
Un errore comune è quello di partire a ritroso, cioè dalla security selection fino all’asset allocation strategica senza considerare la parte di profilature del cliente. Questo errore può costare molto per il seguente motivo: assumiamo di avere un investitore avverso al rischio con un’età anagrafica di 70, la sua preferenza è quella di lasciare in eredità una somma di denaro sicura; in tale fattispecie è completamente errato selezionare un portafoglio costituito da soli titoli azionari, sebbene quest’ultimi siano i migliori titoli azionari di quel periodo; questo perché non vi è un match tra i vincoli del cliente e la composizione del portafoglio.
Terza Parte: revisione del portafoglio, valutazione della performance e copertura dai rischi.
Il lavoro del gestore non termina nella costruzione del portafoglio, ma deve periodicamente rivedere la sua composizione in ossequio alla valutazione della performance e se quest’ultima è in linea con gli obiettivi ed i vincoli del cliente.
Anzitutto, una volta definiti gli obiettivi e le preferenze dell’investitore, la composizione del portafoglio sopra identificata mi dà un orientamento temporale di un certo tipo. Tuttavia, sia gli obiettivi sia le preferenze del cliente, sia la situazione economica congiunturale potrebbero mutare, pertanto il gestore, che esegue uno specifico mandato nell’interesse del cliente, deve modificare/rivedere la composizione del portafoglio. In questa fase vi è il c.d. “rebalancing”: le fette della torta possono cambiare e ad esempio, invece di mantenere un 20% di equity (di titoli di partecipazione azionaria) del portafoglio complessivo, posso modificarlo in ossequio ai nuovi report della divisione di equity research e/o risk management.
Quindi, in questa fase si tratta di comprendere se la composizione del portafoglio è ancora ottimale; qualora non lo sia, è necessario modificare i pesi % del portafoglio tale da renderlo nuovamente ottimale. In sintesi, si tratta di un processo di continua revisione con una cadenza che può variare in funzione delle esigenze e della composizione del portafoglio.
Sin da subito, un gestore deve valutare periodicamente la performance del portafoglio al fine di comprendere se viene ancora rispettata la condizione di ottimalità. Tale processo può avvenire con elevante frequenze (anche più di una volta al giorno), in modo da migliorare sistematicamente la performance. Ma cosa s’intende per performance? Non si identifica esclusivamente il “rendimento”, ma il “rendimento aggiustato per il rischio”: si rammenti che il “rendimento va braccetto con il rischio”, pertanto quando si vuole valutare la performance di un portafoglio è necessario valutare il rendimento, il rischio e il rendimento aggiustato per il rischio.
Qualora la composizione del portafoglio sia ottimale, ma il gestore percepisce l’avverarsi di un evento inatteso (quindi non catturabile dai modelli) può coprirsi da tali rischi mediante strumenti finanziari derivati. Quindi, il gestore deve valutare se il proprio portafoglio è ottimale dal punto di vista rischio/rendimento; al tempo stesso deve verificare se la composizione è adatta per tutelarsi da determinati eventi rischiosi attesi e, qualora, tramite la sua esperienza, abbia il presentimento di un evento rischioso inatteso (ad esempio COVID-19), intraprendere una valutazione circa l’opportunità di coprirsi da determinati rischi (attività di hedging) o rimanere esposti.
Tale articolo non vuole essere esaustivo dell’argomento “gestione del portafoglio”, ma si vuole dare ai c.d. “non addetti ai lavori” e/o neofiti del campo un panorama di riferimento per approfondire gli argomenti trattati.
Fonte immagine: materiale didattico Docente Elena Beccalli, corso Gestione del portafoglio, laurea magistrale in scienze bancarie, finanziarie e assicurative
Autore:Gabriele Trapani, Asset Management, Director of Strategy Desk