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Conseguenze geopolitiche e geoeconomiche della pandemia covid-19:
Aggiornamento: 22 apr 2020
Come espresso nel precedente articolo, la crisi economica innescata dalla pandemia di covid19 presenta delle peculiarità che la differenziano dalle precedenti, e che la rendono negli effetti più vicina ad una guerra vera e propria. È infatti la prima ad avere una causa esterna all’economia, e va a mettere in discussione alcuni capisaldi del capitalismo stesso, come gli elevati livelli di interconnessione internazionale e la dipendenza della maggior parte della popolazione dal mercato del lavoro. Come tutte le catastrofi più devastanti, può pero fungere da innesco verso profondi cambiamenti economici ed intellettuali, tra cui:
1. La fine della globalizzazione come noi la conosciamo:
la pandemia da Covid-19 ha mostrato quanto la globalizzazione, nonostante i suoi numerosi benefici, sia fragile. Essa infatti da un lato ha portato alla costruzione di filiere produttive basate su un’elevata specializzazione e differenziazione tra le varie aree geografiche (le singole componenti di un prodotto vengono fabbricate ciascuna in nazioni diverse), sulla riduzione in minimi termini degli stock di magazzino e sulla delocalizzazione delle attività meno profittevoli verso paesi con manodopera a basso costo. Questo modello però, trasmette globalmente gli effetti di qualsiasi shock localizzato, e la riduzione delle scorte di magazzino si trasforma in scarsità di riserve da utilizzare in situazioni di emergenza (mancanze di mascherine e ventilatori polmonari). La presa di consapevolezza dei suddetti punti critici da parte delle principali potenze mondiali porterà, una volta terminata la pandemia, ad una maggiore autarchia, ad una rilocalizzazione entro i confini nazionali di filiere di prodotti essenziali, predilezione da parte dei consumatori all’acquisto di prodotti nazionali e riduzione degli scambi per impedire la propagazione di eventuali nuovi “cigni neri”. Riassumendo, le singole nazioni sentiranno il bisogno di ritrovare maggiore autonomia e maggiore indipendenza l’una dall’altra. Questa è solo la prima conseguenza, ce ne sono anche altre che verranno trattate nel dettaglio i prossimi giorni.
2. Il possibile collasso dell’unione europea:
la crisi economica innescata dalla pandemia di covid19 sta colpendo tutti gli stati membri, e le differenze tra le loro politiche fiscali stanno causando profonde divergenze tra le loro contro risposte di politica economica alla crisi, con alcune nazioni che hanno a disposizione molte più risorse da utilizzare. Mai come adesso sarebbe di vitale importanza un meccanismo che permettesse a tutti i governi dell’eurozona di rispondere congiuntamente a shock di questa portata, in modo che le nuove risorse messe a disposizione dalla BCE non vengano sprecate come è accaduto nella scorsa crisi finanziaria, causando danni irreversibili all’economia di alcuni stati membri (Grecia Italia). Attualmente, due sarebbero le possibili soluzioni affinché i singoli stati dell’unione europea non perseguano egoisticamente i loro interessi e possano disporre delle risorse necessarie per rispondere adeguatamente alla pandemia:
- la creazione di eurobond a lunga scadenza e a rimborso agevolato (già utilizzata durante la crisi petrolifera degli anni 70)
- l’uso dell’European Stability Mechanism “ESM”, ai cui finanziamenti possono fare la domanda i singoli stati in caso di bisogno. Tale strumento potrà però essere impiegato soltanto a patto di ridurne i costi e le condizioni di accesso estremamente restrittive.
Se l’UE si mostrerà un’altra volta incapace di mostrare fiducia reciproca e condivisione del fardello della pandemia, si potrebbero scatenare sommosse e ascese di partiti populisti e il progetto di unione monetaria sarà destinato a terminare per sempre. Queste sono solo le prime due conseguenze, ce ne sono anche altre che verranno trattate nel dettaglio i prossimi giorni.
3. La diffusione dello smart working su larga scala:
Con l’esplosione della pandemia da COVID-19, milioni di lavoratori e imprese di tutto il mondo si sono trovati, per ovvi motivi di forza maggiore, a sperimentare lo smart working, riuscendo ad apprezzare in modo tangibile gli innumerevoli vantaggi di quello che fino ad ora veniva considerato da molti datori di lavoro soltanto come un pretesto per lavorare meno. Ma cosa si intende per smart working? Tale termine si riferisce ad un decentramento produttivo e occupazionale realizzato mediante strumenti telematici e tecnologie digitali che permettono ai singoli dipendenti di lavorare da una qualsiasi collocazione scambiando dati e informazioni in tempo reale con la sede centrale di lavoro. Come già accennato in precedenza, i vantaggi di tale approccio, come confermato da diverse indagini condotte da autorevoli centri di ricerca internazionali sono numerosi e riguardano sia le imprese, sia i lavoratori. Per le imprese, da un lato significa instaurare un rapporto di collaborazione e di fiducia più coeso con i propri lavoratori incrementandone in modo significativo la produttività, l’impegno e la soddisfazione che dedicano al loro ruolo e la fedeltà all’azienda stessa, dall’altro di essere più flessibile e resiliente a fronteggiare fattori di rischi e imprevisti di qualsiasi portata (scioperi dei mezzi di trasporto, condizioni meteo avverse, calamità naturali, guerre o epidemie). Dal punto di vista dei lavoratori gli studi menzionati sopra confermano che l’applicazione anche di un solo giorno di smart working a settimana ne incrementa la produttività dal 10 fino al 30%, riducendone in modo rilevante le assenze per malattia e le richieste di permessi. Ciò avviene soprattutto perché i suddetti lavoratori, lavorando da casa in condizione di autogestirsi l’orario, in primo luogo si sentono più responsabilizzati e si dimostrano in grado di organizzarsi meglio trovando il tempo per impegni extra senza sacrificare quello dedicato alla professione, in secondo luogo sono più attivi, riposati e concentrati nello svolgere le proprie mansioni grazie al risparmio di tempo ed energie normalmente impiegati per andare e tornare dall’ufficio. Non meno importanti sono gli impatti dello smart working sul piano economico sia per le imprese che per i lavoratori (riduzione delle spese e dei rimborsi spese legate ai trasporti e all’alloggio in sedi esterne, per le prime, ancora riduzione per le spese di trasporto e di quelle legate al servizio di pulizia della casa e delle baby sitter, per i secondi) e su quello ambientale con la considerevole riduzione delle emissioni causate da mezzi di trasporto. Naturalmente l’adozione dello smart working su una scala più ampia richiede che le imprese modifichino gradualmente il proprio modo di operare e gestire le risorse, applicando un’adeguata evoluzione digitale caratterizzata dall’adozione massiccia di gestionali in Cloud e chat e ambienti digitali atti a favorire lo scambio di dati e conferenze da remoto. La pandemia ha messo in evidenza la necessità di accelerare l’impiego dello smart working in tutti i settori, che in poco tempo sarà molto più complesso, ramificato e diffuso di quanto non appaia oggi.
4. L’ascesa della Cina come superpotenza globale:
La Repubblica popolare cinese già a inizio 2020 è stato il primo paese ad essere colpito con violenza dal COVID-19 e adesso, mentre il resto del mondo è alle prese con l’apice della pandemia, sta cercando di far tornare la propria attività economica alla normalità. L’essere il primo Stato ad uscire dal contagio, da un lato risulta problematico per l’industria manifatturiera nazionale che deve affrontare una domanda estera debole, ma dall’altro fornisce alla Cina, opportunità significative di porsi come modello per gli altri Stati e per espandere la propria sfera di influenza all’estero. Infatti, grazie alla tempestività e all’efficacia delle proprie misure di contenimento che le hanno permesso di uscire dall’incubo pandemia, Pechino viene rappresentata come il leader della battaglia globale contro il COVID-19, mentre i paesi Occidentali si sono mostrati del tutto impotenti di fronte all’emergenza. Ad esempio, ad inizio marzo quando l’Italia ha richiesto l’aiuto degli altri paesi Europei riguardo alla fornitura d’apparecchiature mediche necessarie alla terapia intensiva, l’unico paese che ha corrisposto aiuti concreti è stata la Cina, donando ventilatori polmonari, mascherine e tute protettive. In questo modo la Cina, approfittando dell’individualismo dei singoli paesi Europei e della situazione di difficoltà in cui versano alcuni di essi, mira a porsi come possibile ancora di salvezza e a costruire nuove alleanze per realizzare la Via della Seta del terzo Millennio. Non meno rilevante è stata l’umiliazione nei confronti degli Stati Uniti, i quali, ormai primo paese al mondo per numero di decessi e contagi da COVID-19, si trovano a dover aspettare la fornitura di mascherine dalla Cina e Jack Ma, il fondatore di Alibaba, si è offerto di donare agli USA ingenti quantità di apparecchiature medicali, mostrando agli occhi del pianeta la superiorità del “Impero Celeste”.
5. La transizione verso un modello economico ecosostenibile: L’esplosione della pandemia da Covid-19 e i significativi miglioramenti dei livelli di inquinamento nelle aree sottoposte al lockdown, hanno finalmente portato alla luce in modo inconfutabile quanto l’attuale sistema economico sia deleterio e insostenibile, sia per l’ambiante, che per l’umanità stessa nel breve e nel lungo periodo. Nello specifico il nostro modo di produrre e consumare è caratterizzato da:
1. Agricoltura e allevamenti intensivi che distruggono e sottraggono spazio vitale agli ecosistemi e alla biodiversità;
2. Impiego di combustibili fossili come fonte primaria di energia nella maggior parte degli ambiti industriali e nel sistema dei trasporti, che avvelena l’area di megalopoli e di intere aree sovraffollate;
3. Utilizzo spropositato e non necessario di svariati tipi di materiali, molti dei quali non biodegradabili, spesso non vengono riciclati adeguatamente e si accumulano nei terreni e nelle acque.
Esiste una profonda correlazione tra degrado degli ecosistemi e sviluppo di pandemie, infatti, è evidente come il virus stia colpendo con particolare virulenza, in termini sia di numero di contagi che di tasso di mortalità, quelle zone (come la Lombardia in Italia, Hubei in Cina o l’area metropolitana di New York) connesse a condizioni strutturali di forte inquinamento di aria, acqua e sottosuolo, che indeboliscono l’organismo umano e lo sottopongono allo sviluppo di malattie croniche degenerative e varie tipologie di cancro.
Alla luce di quanto esposto sopra è necessario, da parte sia dei governi, sia da parte delle istituzioni finanziare e delle banche centrali, sia delle classi imprenditoriali e dei singoli individui, impegnarsi ad utilizzare l’ingente liquidità in arrivo grazie alle politiche monetarie e fiscali espansive, per investire nella promozione del benessere umano, della protezione dell’ambiente e della transizione verso un’economia circolare e a zero emissioni. I primi passi in questa direzione si stanno manifestando con diversi governi e banche centrali (BCE) che stanno cercando di seguire alcune linee guida al fine di indirizzare le loro risorse verso la svolta ambientale:
1. L’imposizione alle imprese di adottare tecnologie “low carbon” e circolari per poter accedere agli aiuti di stato, pena: la loro restituzione parziale o totale;
2. Il rifiuto di concedere aiuti a quelle imprese e settori o impossibilitati o che non hanno volontà di abbracciare la transizione verso la “green economy”;
3. L’attuazione di massicci piani di aiuti pubblici verso infrastrutture connesse con energie rinnovabili, trasporti, edilizia ecosostenibili, sistemi circolari di riciclaggio dei rifiuti e riutilizzo dei materiali di scarto e la formazione della forza lavoro in modo da indirizzarla verso le professioni dell’economia verde.
Inoltre, gli imprenditori operanti in settori “carbon intensive” come trasporti stradali, aerei e navali e la manifattura, stanno tentando di sviluppare nuove soluzioni a basso impatto ambientale al fine di evitare l’obsolescenza delle proprie attività. Infine, gli istituti di credito, i risparmiatori e gli investitori sia privati che istituzionali stanno dando sempre maggior importanza ai criteri di ESG nelle loro scelte di investimento, grazie al minor rischio di credito e alle performance significativamente superiori ottenute dalle società che sposano tali principi. Proprio per indirizzare gli investimenti pubblici e privati verso la svolta ambientale, si stanno recentemente affermando nuove categorie di strumenti finanziari, rispettosi dei criteri ESG, di cui parleremo in dettaglio nel prossimo articolo …
Autore Marco Amoroso con la collaborazione di Marco Tognoni